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Sullo stemma di Cervara è raffigurato un cervo nell'atto di spiccare un salto su quel promontorio di roccia che ha dato vita al paese. Del resto, quale altro animale se non il cervo avrebbe potuto vivere tra dirupi pressoché inaccessibili, su crinali di montagna non certo a portata d'uomo? Ma nonostante le particolari caratteristiche del territorio, vi fu chi si avventurò ugualmente tra quelle balze mosso dall'abbondanza di selvaggina e dall'attitudine del terreno al pascolo. Nacquero cosi i primi insediamenti. Ne sono testimonianza alcuni reperti archeolorinvenuti quasi al confine con Subiaco, in località "Le More". Al di sotto della grande parete di roccia da cui prende nome il luogo, è infatti possibile vedere numerosi frammenti di ceramica con caratteristiche uguali a quelli scoperti in centri vicini e che gli esperti hanno attribuito all'età del bronzo. Ma anche durante il periodo romano vi fu chi non disdegnò di utilizzare il territorio di Cervara per collegamenti viari tra l'Abruzzo e Subiaco, alla luce delle testimonianze archeologiche ancora presenti specialmente in locaà Vignola. Però, se da un lato queste presenze contrinotevolmente ad inquadrare in un certo periodo i primordi del territorio, dall'altro poco o nulla ancora si sa sulla nadel comune. Il primo documento in cui viene citato il nome di Cervara è riportato nel Regesto Sublacense con la data del 21 agosto 884 ed il numero 6. Si tratta dell'atto con cui Cesario, console e duce, donò all'abate Stefano vari possedimenti del territorio sublacense, tra cui, appunto il monte "qui dicitur Cervaria. Un atto che costituirà anche quello di nascita di Cervara. Bisognerà tuttavia attendere il 1052 per avere una data certa, quando il nome viene citato, tra altri ventitre castelli di proprietà dei monaci di Subiaco, nella lapide che l'abate Umberto fece apporre nel chiostro del monastero di Santa Scolastica. Fu così che a partire da quell’anno anche Cervara partecipò attialle vicende che caratterizzarono la vita del territorio, sui danni conseguenti alle continue battaglie tra i pretendenti al dominio della zona. Come, ad esempio, quando nel 1273, in sealla fuga dell'abate Enrico della Montagna, Pelagio da Jenne, dopo aver inutilmente tentato di farsi eleggere abate, riuscì ad occucon 1’inganno la fortezza di Cervara. Forte della posizione pressoché inviolabile del castello, egli si proclamò ugualmente abate e come primo provvedimento esonerò gli abitanti di Cervara dal padelle imposte, ma solo per accattivarsene l'animo. Il provvedimento non diede però i frutti sperati, per cui Pelagio da Jenne. riunito intorno a sé un gruppo di uomini senza scrupoli, coò ad imperversare su tutto il territorio fino ad occupare notte tempo il monastero di Santa Scolastica, facendo imprigionare i moche vivevano nel cenobio e lasciandoli morire di stenti. Ma proquando credeva di aver ormai imposto il proprio dominio, Papa Innocenzo V mandò contro Pelagio un esercito di sublacensi che attaccò il castello di Cervara: ci vollero due mesi perché potesaver ragione di Pelagio che, fatto prigioniero insieme con i suoi uomini, venne condotto nella rocca di Subiaco dove morì. Fu così che Cervara e l'Abbazia poterono riprendere la loro norvita di tutti i giorni. Si arriva al 1511, anno in cui diffusasi la falsa notizia della morte di papa Giulio II, Pompeo tentò di porsi a capo degli abitanti di Cervara. Tornato però Giulio II ad occupare il trono di Pietro, Pompeo venne dichiarato colpevole di lesa maestà e quindi privato del titolo di vescovo e di tutti i benefici ecclesiastici. Non trascorsero neppure settant'anni che Cervara fu chiamata a vivere un'altra traNe fu protagonista il brigante Marco Sciarra, il quale nell'aprile del 1592 insieme ai suoi uomini assalì il piccolo centro di montagna procurando ingenti danni e molti morti. Dopo queste ulteriori vicende, la fortezza di Cervara andò via via perdendo d'importanza e neppure valsero i tentativi di papa Pio VI di procedere a sostanziali restauri. Riuscì invece il pontefice a costruire la chiesa parrocchiale ed a dotarla di libri e preziosi arredi, donandole il corpo di un martire, San Felice, rinvenuto nelle catacombe romane di San Callisto, e condonando inoltre alla popolazione le quote arrerelative al mancato pagamento della tassa sul macinato.